La costruzione che colpisce l’attenzione del visitatore non appena egli giunge a Monastero di Piandimeleto è la chiesa dell’abitato, soprattutto se si pensa che fu fondata in periodo medievale. Risalente al secolo XII (ricordiamo che l’abbazia è nominata in un documento del 1131 e perciò doveva già esistere prima di questa data), venne dedicata al culto di Santa Maria del Mutino, essendo il Mutino il fiume che scorre a valle. Il complesso del Mutino in realtà non era solamente una chiesa parrocchiale, ma la sua antica presenza nella zona l’accomuna alle chiese di Sant’Anastasio di Valle (ora comune di Sassofeltrio) e di Sant’Angelo del Sasso Simone (ormai completamente scomparsa). Queste costruzioni ecclesiastiche erano infatti le tre abbazie benedettine presenti nella zona del Montefeltro orientale, fondate nel periodo delle lotte per le investiture al fine di riorganizzare la vita delle popolazioni locali; la fervida attività dei monaci è testimoniata da oltre seicento pergamene rinvenute sia nell’archivio dell’abbazia del Mutino che in quello dell’abbazia del Sasso. Per erigere siffatte costruzione, siano esse state le abbazie o le pievi, fu necessario far arrivare nel Montefeltro maestranze specializzate (i maestri comacini e le maestranze lombarde), atte a realizzare edifici religiosi così complessi ed armoniosi. Ma le modificazioni apportate nei secoli, sia dalle distruzioni che dalle ricostruzioni, hanno spesso completamente distrutto le architetture romaniche della provincia feretrana. Per ciò che riguarda l’abbazia di Santa Maria del Mutino, che diede poi il nome all’abitato di Monastero, quello che resta della costruzione originale è la parete inferiore, sulla quale in seguito vennero operate modifiche strutturali. E’ arrivata intatta ai nostri giorni una grande sala inferiore, forse ricovero delle derrate, ed una serie di finestre e porte sicuramente romaniche: le finestre oblunghe a tutto sesto che si aprono nel lato sud-est della chiesa ed il portale, anch’esso a tutto sesto, che permetteva ad est forse l’accesso ai carri agricoli furono realizzati con pietre perfettamente sagomate; le porte, di diverse dimensioni, che si ritrovano in questa porzione di costruzione originaria dovevano garantire l’accesso ai piano superiori. Ma soprattutto di quel periodo ci restano la base dell’abside quadrangolare (non unico esempio nella zona), un angolo del campanile e porzioni di muratura del portico d’ingresso al cenobio. Quello che doveva presentarsi ad un viaggiatore del XII° secolo era un grande complesso monastico fortificato (la torre campanaria era in realtà un fortalicium) dotato di una chiesa a due navate e non a navata unica: un grande arco presente nella parete destra ci fa pensare ad un collegamento dell’ambiente attuale con un ulteriore spazio, forse una seconda navata. Agli occhi, invece, di un visitatore del XVII° secolo la chiesa doveva apparire certamente abbellita ed ornata: sono del XVI° secolo le due ante del tabernacolo dell’altare maggiore dipinte da un pittore ignoto di scuola marchigiana; è del 1614 una tela raffigurante la Madonna col Bambino, Santa Francesca Vidri ed un angelo dipinta da un ignoto pittore locale di scuola baroccesca. Il committente dell’opera, citato in un’iscrizione, risulta essere stato don Secondo Lancellotti, monaco olivetano perugino. Ancora una volta dei documenti, in questo caso artistici, ci testimoniano l’alacrità con la quale i monaci non solo lavoravano per la popolazione locale, ma promuovevano in queste zone anche lo sviluppo e la cultura.